I cittadini ce l’hanno fatta: aperta una nuova via per la democrazia dal basso
I partiti presenti in Parlamento avevano affossato nel 2006 la legge di iniziativa popolare (oltre 400.000 sottoscrizioni) e successivamente tradito il voto referendario del 1213 giugno 2011 (27 milioni di elettori) che diceva NO alla privatizzazione dell’acqua, ma ora, costretti, hanno dovuto stabilire per legge che l’acqua è un diritto e non una merce. La vittoria della mobilitazione spontanea dei cittadini e dei movimenti per l’acqua pubblica, portata avanti fino alla presenza costante in aula alla Pisana, ha ottenuto l’approvazione di questi fondamentali punti:
- l’acqua è un bene comune inalienabile che non può appartenere a nessuno, né al Mercato né allo Stato?
- l’acqua è un bene limitato che va tutelato a favore delle future generazioni?
- l’accesso all’acqua è un diritto umano inviolabile che nessuno può negare (stop, quindi, ai distacchi selvaggi da parte dei gestori).
La legge stabilisce anche priorità d’uso: prima l’alimentazione e l’igiene umana, poi l’agricoltura e l’alimentazione animale e da ultimo le altre destinazioni (industriale, termale, turistica, ecc.). Solo dopo la garanzia di tali priorità il bene comune può essere destinato ad altri usi commerciali come l’imbottigliamento.
Al di là dei dettagli tecnici della legge (per i quali rimandiamo al citato articolo del “Caffè”), è il significato politico della vicenda a segnare una vera rivoluzione, perché apre una via nuova per la democrazia in Italia, la spinta dal basso.
I movimenti hanno prima scritto la legge e poi hanno raccolto le firme necessarie per presentarla, seguendone l’iter fino all’approvazione. Questo è un fatto straordinario, che cambierà i deteriorati rapporti tra cittadini e istituzioni: le forze politiche, all’unanimità ma di malavoglia, sono state costrette ad approvare la norma per una precisa ragione tecnica, della quale nessuno ha parlato.
Per obbligare il Consiglio Regionale a votare la proposta di legge i cittadini e i comitati organizzati hanno, per la prima volta, fatto ricorso all’art. 62 dello Statuto della Regione Lazio, che prevede il referendum propositivo regionale in caso di mancata discussione delle proposte di legge popolari? e per la prima volta in Italia csx, cdx e M5S hanno espresso un “accordo” sullo stesso testo perché non potevano fare diversamente. Qualsiasi tentativo di boicottare di nuovo la volontà popolare avrebbe avuto come ricaduta la meschina figura di dover spiegare l’ingente spesa organizzativa del referendum, cosa che, nonostante il fastidio, nessuno dei partiti si è sentito di affrontare.
La politica ha dovuto riconoscere la determinazione dei cittadini nel far rispettare la volontà popolare ed è questa la nuova strada aperta per ridare spazio ad una democrazia reale soffocata dalla partitocrazia. La battaglia per la riaffermazione di quella sovranità popolare il cui principio apre la Costituzione ha in questo episodio un precedente fondamentale: il fare politica fuori degli schieramenti partitici può metterne in discussione la collusione tra politica e affari, può abbattere tutti i poteri economici controllati dalle lobby e dalle mafie per segnare quella necessaria riscossa dei territori contro la consociazione affaristica partitocratica.
Ora questo precedente politico può essere di nuovo invocato per un’altra battaglia, quella della legge di iniziativa popolare “Rifiuti Zero” (già presentata alla Presidenza della Camera ma per la quale basterebbe fare lo stesso a livello regionale), con la quale si elimina da principio la possibilità di lucrare sullo smaltimento.
E quindi, su questo come sull’acqua, ogni altra battaglia sulle questioni fondamentali per la vita e la dignità dei cittadini può avere in questo meccanismo lo strumento di una affermazione. Possiamo entrare nei Palazzi restandone fuori e fare politica reale scavalcando l’occupazione delle Istituzioni da parte del sistema dei partiti.