1946: ostriche dalla Dalmazia ai Colli – Parte Seconda

Perché tanti nazifascisti furono affrancati? Preservati? Chi li aiutò a farsi cittadini liberi?

[segue] Per rendere l’idea, Simon Wiesenthal osservava: nella sola macchina sterminatrice di Auschwitz concorsero 8000 nazisti (esclusi chi in Europa riempiva vagoni) di cui solo un’ottantina furono processati, condannati e poi molti graziati. Per l’eminente luogo dell’Olocausto pagarono, si e no: una ventina di macellai. I conti non tornavano, nonostante quello di Norimberga ed altri processi, di responsabili accertati, da ricercare, arrestare e processare tra gli europei risultavano più o meno, all’incirca, 250mila e non si trattava mica di sempliciotti ma criminali tra i più degeneri: praticanti la vivisezione umana, boia, torturatori, xenofobi, stupratori, pedofili, stragisti, razziatori, parassiti, aguzzini, spie e tanti loro collaborazionisti ecc ecc ecc.

Wiesenthal cominciò ad avvertire un certo disagio. Chissà, magari temeva pure per la prima “mezza tonnellata” di documentazione raccolta. Vero o no: impacchetta tutto e da Vienna, dove rimarrà uno dei suoi tanti uffici di rappresentanza sparsi per il mondo, nel 1953 porta tutto nella nuova sede centrale di Gerusalemme. E non smise mai di osservare l’epicentro di protettori e protetti: Roma e dintorni. Dapprima nazisti e fascisti si mescolarono al flusso di profughi smistato e controllato dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) diretto dal 1944 al ’48 da C. J. Burckhardt, uno che in passato e in più occasioni si distinse per “ammirazione alle conquiste del Terzo Reich”. A Norimberga Il CICR fu pure accusato di aver taciuto sulle ripetute violazioni nazifasciste del diritto internazionale. A Burckhardt subentrò P. Ruegger, già ambasciatore svizzero a Roma dove strinse ottimi rapporti col Vaticano e gerarchi fascisti. Il CICR aveva la facoltà di fornire passaporti ai profughi. In Europa ne rilasciava ovunque, solo in Italia in poco tempo ne rilasciò 120mila.

E fu così che centinaia di migliaia di ricercati dai Tribunali di Guerra, fuggirono. Tanto per fare qualche esempio ‘illustre’: il “carnefice di Roma” Erich Priebke diventò il lettone ‘Otto Pape’ che raggiunse la corte di Peron in Argentina; il “boia di Lione” Klaus Barbie mutò in ‘Klaus Altmann’ e indaffaratissimo, quando non consigliava la controguerriglia in Bolivia, dirigeva traffici di armi e coca; il “macellaio di Auschwitz” Josef Mengele cambiò nel sudtirolese ‘Helmut Gregor’ e, incaricato testé da Gianni Agnelli, si recò a dirigere il più grande autosalone FIAT a San Paolo del Brasile. E durante weekend e festività brindavano tutti assieme in gioiose réunion tra le piste innevate della “Nuova Germania”, amena località montana del Paraguay fondata da Elisabeth Nietzsche, che del celebre fratello filosofo, il bastone portò scrupolosamente ella in dono a Hitler. Ecc ecc ecc. Molti criminali ripararono in Spagna da Franco, nell’Egitto di Nasser, nella Siria di Assad, nella Russia di Stalin.

In Italia centinaia di migliaia di profughi si ammassarono tra Brennero e Sudtirolo per raggiungere poi, scaglionati, il porto di Genova dove i più s’imbarcarono per l’America latina. Durante questo frazionamento avvenne una selezione mirata, molti criminali di guerra dapprima camuffati da profughi presero poi la “via dei conventi” per Roma. Preferenze non proprio dovute al pentimento o a chissà quale espiazione dei delitti commessi ma all’entità del bottino di guerra offerto. Difatti molti nazisti e fascisti portavano con se il ricavo di appropriazioni indebite compiute durante rastrellamenti e stragi, consistenti in gioielli, opere d’arte, reperti archeologici, fedi nuziali, e un’infinità di denti d’oro e d’argento, questi particolarmente in uso tra le popolazioni rom. Sembra che tali articoli deviassero i percorsi e spalancassero altre vie, come quelle “dei conventi”. Molto frequentato al Nord fu l’Antonianum a Bolzano.

bisogna anche ammettere che la ‘moderna’ pur discutibile “vendita delle indulgenze”, alla Santa Chiesa risulta pratica buona&giusta già, almeno, dal XVI sec., quando di rogo in rogo ‘illo tempore’ la salvaguardarono ben bene dalle 95 perplessità di Lutero…

Per la città eterna del Vaticano la questione dei profughi fu affidata al Segretario di Stato Montini (poi fatto papa, Paolo VI). La maggioranza, cioè quelli ‘veri’, passarono ordinariamente per la Pontificia Commissione Assistenza; per i selezionati, cioè nazifascisti ‘ricercati’ e loro cari, il Montini predispose invece una zelante rete d’accoglienza, sosta e spedizione verso paesi sicuri [SIC!].

Allo scopo e fuori le mura capitoline funzionarono il Pontificio Collegio Russicum a Roseto degli Abruzzi, il Convento dei Cappuccini a Viterbo, il San Michele a Guidonia, l’Abazia di S. Nilo a Grottaferrata e la sede vaticana di Castel Gandolfo. Coadiuvati dai più centrali conventi delle Suore della Carità a Centocelle e dei Trappisti sulla Laurentina, il S. Paolo alla Regola vicino piazza Farnese, il Pontificio ucraino di S. Giosafat e quello francescano di via Merulana. E poi l’Istituto Suore dell’Addolorata di Borgo Santo Spirito, il S. Maria dell’Anima e il S. Girolamo degli Illirici di via Tomacelli. Sempre a tale scopo ci sarebbero pure ville e casali attigui l’aeroporto di Ciampino, messi a disposizione dal principe Pignatelli sulla via Appia. Ecc ecc ecc.

Molti criminali illustri della IIa guerra mondiale sono passati – sempre con pia discrezione – per le accoglienti località dei Colli Albani.

Otto Pape cioè Priebke addirittura ci venne più volte durante gli anni ’60 in villeggiatura. Poi nei ’70 lo arrestarono, da Roma evase e sparì misteriosamente … come ben sappiamo, nel 2013, benché morto, eppure Otto ritornò ad Albano nella cappella della Fraternita di San Pio X, gestita dalla comunità dei “lefebvriani”, noti per le loro pie vicinanze ad ambienti dell’estrema destra e ‘riammessi’ nella Santa Chiesa da papa Benedetto XVI. K. Hass, condannato a morte per la strage delle Ardeatine, scontò gli ‘arresti domiciliari’ in una gran bella villa alberata e panoramica a Castel Gandolfo, proprio qui si spense l’anziano Hass, si dice, nel 2004.

Amena località ai Colli Albani, Castel Gandolfo col suo lago da sempre gode di un ottimo clima temperato e dal 1929 dell’extraterritorialità vaticana per la residenza estiva dei papi. Dagli anni ’30 almeno fino al 1954 ci andava quello “di Hitler” cioè Pio XII.

Il Vescovo teutonico A. Hudal, trasformò il Convento del S. Maria dell’Anima in crocevia romano di fuggiaschi ariani, anche da pensionato nelle fortezze di Grottaferrata non mancò mai di ritenersi “fiero d’esser stato gran servitore di Hitler”. E. Rossoni, fondatore de “La Stirpe”, era Ministro del fascio quando accumulò tanti titoli di Stato, terreni e ville per se e parenti ad Anzio (e per i weekend ad Assisi), ‘mangiò la foglia’ ed evitò l’affollamento del fuggifuggi, giacché nel 1943, in anticipo su tutti, andò a nascondersi tra le riguardose tonache dei salesiani a Grottaferrata. Altro Ministro e “boia della Cirenaica”, scortato dai preti del San Giosafat, L. Federzoni fuggirà in Canada dall’affollato aeroporto di Ciampino.
Tra gli ospitati più orripilanti transitati ai Colli, certamente c’è il croato A. Pavelic, sembra che tra i “sei, sette” rifugi romani, tra 1945 e ’46, quello più frequentato era a Castel Gandolfo.

Pavelic fuggiva dalla Jugoslavia liberata, dove Hitler nel 1941 ci mise a capo l’orrido croato e i suoi fedelissimi ‘ustascia’. Questi, in poco più di tre anni trucidarono 800mila serbi ma anche bosniaci e poi i soliti ebrei, comunisti, anarchici, oppositori d’ogni sorta, lesbiche e omosessuali, rom, ecc ecc ecc. Ben oltre la metà eliminati nel solo campo di sterminio di Jasenovac, diretto ‘spiritualmente’ da tal Majstorovic, anche detto “frate satana” [non mi è stato possibile osservarla – problemi contingenti – quindi per sola cronaca : una recente mostra esposta in via del Giardino Vecchio n. 1 a Marino sembra argomentasse stessa fase storica e geopolitica].

Un aneddoto: inviato dal Corriere della Sera, Curzio Malaparte nel 1942 incontrò Pavelic nel suo ufficio di Zagabria, il giornalista chiese se quelle che intravedeva nel cesto che troneggiava al fianco della scrivania erano ostriche della Dalmazia, Pavelic tolse lo straccio che in parte le ricopriva e sogghignando disse: “no no… sono venti chili di occhi umani ”. I devoti ustascia cavavano gli insoliti trofei alle vittime, vive o morte, poi li recapitavano al capo come prova tangibile dello sterminio in atto.

La Jugoslavia fu liberata e nel 1946 a Trieste i Partigiani slavi siglano gli accordi bilaterali con gli emissari di Winston Churchill, pianificando anche i piani d’epurazione nelle zone annesse della Dalmazia e la restituzione almeno di quella parte di criminali di guerra ustascia fuggiti e trattenuti in Austria dagli Alleati.

Invece Pavelic imboccò “la via dei conventi” per Roma, dove giunse assieme ad altri amici, “10- 12mila croati circa, tra ustascia, monarchici, laici e preti collaborazionisti”. Portò con se molte casse, queste però ricolme di gioielli, fedi e denti… Con “7250” croati suoi intimi andò a Buenos Aires dove qualcuno attentò alla sua vita, evidentemente il ‘collezionista di occhi’ si fissò nella memoria di chi, anche laggiù, tentò di cavare i suoi. Pavelic passò gli ultimi anni in un altro convento, quello di San Francisco el Grande nella Madrid di Franco, assistito dall’ex medico del comandante delle SS Goring. Qui sarebbe morto nel 1959.

Aveva ragione Hannah Arendt quando diceva: “i macellai nazisti non hanno la grandezza dei demoni: sono dei tecnici, si somigliano e ci somigliano” tant’è: le restanti migliaia di ustascia e loro collaborazionisti rimasero a Roma e redistribuiti per la provincia. E tutto sommato alle cronache non risultano grossi problemi di inserimento, anzi…

Fine Parte Seconda, continua

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