Ciccarelli sul Food Truck Festival: “food” nelle “street” di Marino, ad ogni costo?

Noi Cambiamo - Redazione

8 anni fa

Pubblichiamo di seguito la nota giunta in Redazione da parte del sempre attento Ivano Ciccarelli. Stavolta le analisi dell’Ivano marinese si concentrano sul Festival appena terminato a Marino, il Castelli Romani Food Truck. Se per molti è stato più che sorprendente vedere Marino Centro riempirsi di persone, molte non marinesi che arrivavano da Roma e Paesi limitrofi, se per altri addirittura si è trattato di un mezzo miracolo viste le premesse del tempo – vento forte e fastidioso fino a venerdì scorso – e le critiche pubblicate ‘ad ogni costo’ sui social network, per Ciccarelli – e la sua ben conosciuta vista ‘laterale’ – ci sono osservazioni importanti da svolgere e consigli da dispensare per le prossime edizioni.

Al solito quanto scrive Ciccarelli farà discutere?

Questo è poco ma sicuro, e per questo, con piacere come nelle altre sue ‘provocazioni’, pubblichiamo le sue riflessioni.

La Redazione

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“food” nelle “street” di Marino: ad ogni costo?

di Ivano Ciccarelli –

Carina si! È andata benino la prima „tre giorni‟ in piazza della nuovissima e accattivante “stanza delle meraviglie”. La gente incuriosita come chi scrive, è transitata a migliaia, s‟è divertita, s‟è svagata un po‟. Un primo maggio insolito ma riuscito … dicono. Chi per un motivo chi per un altro, in tutta Italia anche per questo primo maggio si è scesi in piazza. Tutte e tutti, direi, aiutati dal sole.

Non m’interessa assolutamente un fico secco star qui a dire, a ripetere, a cincischiare la solita nenia su quale sarebbe – poi – il vero motivo per andare in piazza il primo maggio, esattamente come – poi, pure – per molti è stato: da Portella della Ginestra, passando per Roma fin su a Torino ecc ecc ma lasciamo stare!

Anch’io, quest’anno, ho trascorso brani del mio tempo per la nuova meravigliosa opzione marinese. Quel che mi ha colpito di più è stata la “fauna” degli astanti; il cibo cioè il “food” e certamente l’allestimento pre e post evento.

La fauna m’ha incuriosito assai, giovane. Tanti giovani. Tra i maschietti primeggiavano i barbuti. Copiose, folte, lunghe, ben curate e pettinate; barbe spesso a compensazione del glabro degli occipiti? Chissà! La saggezza a cui c’hanno abituato i lanuginosi pensatori d’un tempo era qui tradita dai volti di chi le esibiva, in rarissimi casi staccavano i trent’anni. Le ragazze tutte affusolate nei loro collant e appese ai loro piercing, tracciavano sguardi già così insolitamente vissuti che a quelle tenere età le rendono ancor più probabili.

Ma il nero o meglio il “dark”, ho ben notato, era il colore dominante e stando lì (me tapino) senza appendici, in flaccido sovrappeso, per giunta in calzoni arancioni, maglia gialla e criniera folta alla Little Tony, denotava tutto il mio essere fuori luogo (mi ci sono abituato … che voi fa!!).

Altra caratteristica fondante che accomunava i presenti erano i tattoo. Tanti tattoo alla prima edizione (credo) del Castelli romani Street Food (e pensare che ad una prima evidentemente distratta lettura della locandina leggevo: Castelli r‘u’meni … lapsus etnico che pur sempre vale un assist alla fornita comunità). Tattoo ancora non meglio esibiti, come immagino dovrebbero, per il freschetto che faceva; ma v’assicuro che spuntavano fuori ovunque terminavano felpe e calzamaglie. Lasciavano intravedevano figure tribali e orientaleggianti che (sempre io che nessuno sono) ancora non ho ben capito cosa dovrebbero comunicare se non una disperata ricerca di accessoriare personalità altrimenti indecifrabili? Ma lasciamo stare, è un problema tutto mio (forse). E poi bombette alla Chaplin, dread per acconciature impegnative da favi in testa, scoppole scozzesi o tardo-sarde … boh! e così via.

Non che io sia proprio da ascrivere al provincialismo puritano … ne ho viste ma pure fatte di cotte e crude in giro per i migliori o peggiori (dipende) “squots” europei (o come si scrive). Ma ritrovarmi tutt’assieme una fauna siffatta nel mio paesello, e beh: fa un certo effetto. Avoja!

C’è voluta andare pure mi’ madre con le sue amichette, un’agguerrita comitiva di ultra settantenni che, oramai, alternano la propria esistenza tra amorevole benevolenza tipica alle nonnine e facezie da putrido bigottismo. Confesso d’averci impiegato un po’ a spiegargli il “contest”. Gli ripetevo “è tutto molto british e vintage” e viceversa ma non capivano, poi è passato un tipo col favo in testa e mi sono arreso. Tutto sommato erano divertite, anche loro, le nonnine.

Il cibo o food: che dir si voglia: nonché abbia assaggiato di tutto ma prima uno poi l’altro, ho ascoltato solo commenti non proprio magnifici comunque sufficienti. Tranne i prezzi, al dettaglio: 4€ per un “hot-dog” 5 per una carbonara rilasciata a mo’ di cartoccio delle olive da ingerire in piedi come i cavalli. Così a naso (anzi a Nasone) fanno sembrare certi ristoratori di Marino degli eroi: 1,50€ l‟hot-dog”, 3,50 in via Roma il giovedì ti danno una porzione di squisiti gnocchi al radicchio da asporto o da gustare in coccio al tavolo… I prezzi, dunque da ritoccare come detto “absolutely” al ribasso, specie se per le prossime edizioni la “new-entry” associazione delle meraviglie calendarizza l’evento in date così “pop” come il primo maggio.

E giungo all’allestimento pre e post evento … e all’impatto ambientale che proprio ogni evento, si sa, porta con se. E lo tirano in ballo (mica nessuno direbbe Omero) ma gli scienziati tanto cari, giustamente, al Movimento 5 stelle e quella dozzina di direttive europee che in materia di “risparmio energetico” ed abbattimento di emissioni nocive (CO2 come ben sappiamo) premia i virtuosi.

Gli stand erano accolti in caravan d’epoca e furgoncini apetti che nell’Italia del dopoguerra usavano gli ambulanti ma a Liverpool, come nel set di Quadrophenia del 1979, ci scorrazzavano “teddy boy” e “mod”. Variopinti apetti giunti, da dove non ci è dato a sapere (ma il kilometraggio tornerebbe utile a quei calcoli che fanno i sapienti ingegneri ambientali per trarre la giusta “impronta ecologica” di ogni azione umana singola o collettiva che sia), tutta ‘sta roba su e giù per il piazzale, trasportata e ritrasportata per chissà quale tragitto, da sei o sette grossi rimorchiatori. E la merce? Arrivata nel nutrito viavai di jeepponi, suv e station-vagon privati che nel “impronta” c’hanno il loro peso specifico, eccome! Poi, tutto st’ambaradan esattamente com’è venuto, sen’è andato per restituire il piazzale agli eroi paesani che sappiamo.

Per un “consumo” complessivo di maestranze, mezzi (costi?), energie ed emissioni non proprio “british” neanche “vintage” bensì molto “real-work” … diciamo: considerevole? non indifferente? In più, ai lati dell’evento, per tre notti e dì son stati in funzione ben due (2) grossi generatori alimentati a gasolio che ininterrottamente hanno pompato energia elettrica necessaria alla permanenza degli astanti di cui prima, cioè: pelosità pseudo-giudiziose, sbarbine tenebrose e nonnine ricreate, tutt’assieme intrattenuti nel (a quanto pare) dispendioso Street Food marinese.

Ma si tratta pur sempre della prima edizione cioè quella dove si fanno gli errori da evitare in futuro. Per la seconda si potrebbe ambire ad economia veramente “altra” ed organizzare agliojo&peperoncino al romantico lume di candela consumato (‘sto giro) ad emissioni-zero da segnalare all’esigente Commissione ambientale UE per eventuali rimborsi eco-sostenibili. Tutti gli astanti (nonnine comprese) potrebbero stare accovacciati come ci stavano gli avi bifolchi: in suggestive capannelle di fango e stecchi. Per un “contest” non proprio “british” forse un po‟ “trogoll” che però fa così tanto “tribb” … per un fantastico “habitat” molto “eco” ma pure “benefit” (di sicuro gli africani si troverebbero a loro agio e con la loro negritudine renderebbero tutto molto “real and original-time” … no?). E tanto, molto, meravigliosamente vintage per una Marino risorta nel “fascion-farmer” a cui aspira (aspira?). Massiiiiii dai: le nonnine impazzirebbero!!

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