Marino come frontiera del peggio
No, non è una citazione di Lucio Battisti – le cui emozioni sono ben note dalle sue storiche canzoni – ma la registrazione di un episodio che, se non avesse un risvolto pubblico, potrebbe alimentare un serio dibattito sulla scomparsa del senso della bellezza.
Durante una delle ultime riunioni pubbliche dei consiglieri comunali si è verificato un’ improvviso circuito sentimentale tra gli opposti. Silvagni (PdL), in un istante di rapimento mistico, sembra aver rivelato quanto sarebbe stato bello se, dopo sette anni, PDL e PD avessero potuto votare insieme il bilancio a Marino. Subito dopo Ambrogiani, folgorato dall’irradiarsi di tale meraviglia, sembra aver manifestato una eccelsa risposta interiore intonando laudi in onore del verbo silvaniano e dichiarando, a sua volta, la sua profonda emozione prodotta da questa dichiarazione, che è portatrice del nuovo corso per cui si può finalmente collaborare tra maggioranza e opposizione…, o giù di lì.
Moti interiori e sentimenti vanno comunque rispettati – ma l’evidenza di una travolgente soddisfazione la dice lunga su quanto bolle in pentola.
Al di là della puntuale nota nella stessa riunione di Tammaro , che, con grande e animato disappunto dei consiglieri dell’”opposizione”, coglie subito ed evidenzia al Consiglio le prove tecniche della consociazione prossima ventura, l’episodio ribadisce quanto sia avanzata Marino come frontiera del peggio, dei fenomeni più involuti delle relazioni civili e politiche. La politica delle larghe intese e il governo Letta, piaccia o no, sono la composizione istituzionale determinata da un risultato di parità elettorale dopo che la protesta ha voluto mantenere intatta la propria verginità. Ma Marino non aveva questo quadro politico. Qui la consociazione di vertice ha ben altro retroscena, che è quello di una gigantesca, inutile e devastante speculazione edilizia ordita dalla giunta Polverini, su cui c’è ancora il silenzio (strategico, fino alle irrevocabili licenze edilizie?) di quella neoeletta di Zingaretti, e della cui esecuzione sia la maggioranza di Palozzi (ora proprio nella commissione urbanistica del Consiglio regionale) che la minoranza del PD sono gli attori locali. Sì, minoranza, NON opposizione. Il PD marinese non è opposizione, ma consociazione affaristica.
Qual è il dibattito interno alla base del PD di Marino? C’è un dibattito interno? C’è una base? Dei due PD che esistono ormai palesemente dopo le vicende dell’elezione del Presidente della Repubblica, dov’è, a Marino, quello che in molte parti d’Italia ha occupato le sedi, strappato le tessere e denunciato lo squallore suicida della guerra tra leader rivali e l’ambiguità politica? C’è una opposizione interna, nel PD marinese, alla consociazione affaristica del gruppo consiliare? C’è un’alternativa locale a politicanti clienti di capicorrente?
Per ora pare di no. Sia questo un monito per ogni prossima apertura di tavoli targati “centrosinistra”, categoria che in queste condizioni non ha senso. A Marino diverse storie devono concludersi, diverse facce devono uscire di scena.
La responsabilità che si trova ad avere il PD è forse superiore alla sua capacità attuale e riguarda le sorti della democrazia italiana, minata da populismi demagogici, avventurieri opportunisti e partiti o movimenti posseduti da ricchi capi carismatici autoritari. Proprio perché il consenso resta alto nonostante risse, lacerazioni, incapacità di sintesi e gioco al massacro di ogni leadership, il PD deve avere la forza di diventare un solo partito: o partecipazione trasparente o verticismo occulto alla Monte Paschi Siena, o i problemi reali del paese e delle comunità locali o lobbying affaristica sponsorizzata da privati. Si lasci Grillo rispondere, come ha fatto, alle domande della Gabanelli e alle critiche di Rodotà; si lasci Berlusconi cadere dall’impostura televisiva dentro il cerchio dell’uguaglianza e della legalità; ma dimostri il PD, se può e vuole, di non essere il “PD meno L”.
La conferma del consenso è una precisa richiesta di assunzione di responsabilità, maggiore degli storici ritardi e delle ambiguità. E’ un obbligo che non può essere più disatteso dal PD, pena lo sfacelo della democrazia italiana.
E che certe emozioni alla “quanto sto bene così” siano il responsabile viatico per cambiare partito, aggiungendo una ormai scontata “L”, o per cambiare mestiere.
Movimento per il Cambiamento – Marino
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